...Assistiamo, ora, ad un nuovo ‘classicismo’, un ritorno nella sua espressività migliore non inteso come imitazione accademica, manifestazione di una ‘moda’, bensì come uno studio serio dell’antico. Comacchio lo ha scelto e lo esprime sulla scia della tradizione, quando evidenzia che già la teoria dell’estetica di Winckelmann aveva sottolineato che non è l’imitazione che conta, bensì lo studio profondo e fiducioso dell’arte. Quasi come nani sulle spalle di giganti, siamo portati a confrontare il passato con la contemporaneità, alla ricerca di un linguaggio assoluto e determinante per attuare un processo di ‘estrazione’ e di ‘distillazione’, per ‘raggiungere la reale semplicità della Natura’. Che poi Comacchio si avvicini con maggior predilezione alla tradizione plastica è certificato da quel suo modo di provocare un accorto rapporto con l’arte del Secolo appena passato. Lo si scorge quando in pittura cerca spunti dai post-impressionisti ed in scultura si accosta a Rodin e agli interpreti del nuovo romanticismo. Di lui cogliamo lo stesso modo di manipolare la materia, manifestando quel trasporto emozionale percepibile dalle patine colorate destinate a simulare superfici bronzee. Il suo agire è lo stesso del pittore che con rapide pennellate espande il paesaggio, il suo tratteggio lo definisce, il suo modellato è avvolgente e determinante per la resa della figura. Quell’innata maestria è riformulata come un’attenta risposta all’insegnamento dei suoi maestri e allo studio profondo del passato. Sospinto alla ricerca di emozioni naviga allora tra una ricerca realistica, alle volte, diretta e ad un affidamento alla simbologia di quella visione iconografica che si colloca tra la forza dell’agire direttamente sulle superfici e una visione estetica levigata e sensuale, ondeggiando tra superfici, piani e tridimensionalità plastiche. La realtà è vista con i suoi occhi ed assimilata con la sua sensibilità. Nulla di ‘erotico’, in lui, ma la ricerca diretta di una bellezza soffusa quasi in una forma di esorcismo finale. Colpisce la sua capacità di trasfondere all’inanimato la sua anima, di far vivere le sue figure di purezza e di bellezza. I suoi ascendenti si ritrovano in grandi scultori, che ritroviamo in quelle forme umane ricercate e levigate, stupefacenti per la loro bellezza, quasi che il corpo femminile e maschile, passando attraverso le mani dell’artista, si siano fissati per sempre. Se l’arte sta alla fine di un lungo percorso di formazione è anche, allo stesso tempo, all’inizio di un altro percorso fatto di creatività, fantasia e ricerca estetica. Proprio l’attitudine specifica alla creatività, segna la distanza tra un lavoro banale ed una buona realizzazione, tra un mediocre artigianato e l’opera d’arte. Una scelta di questo tipo impone la combinazione più proficua di nozioni, situazioni e tecniche fino alla creazione di un’opera artisticamente valida, capace di esprimere, comunicare o anche solo di esistere in sé. Il suo è uno stile contraddistinto da segni, forze, movimenti, originalità ed il suo percorso esaurisce tutte le esperienze che si ritengono più congeniali e pertinenti ad una sensibilità iconograficamente orientata al naturalistico. Comacchio va alla ricerca delle sue creature con un’intimità prolungata, appassionata e sofferta, opera con frequenti richiami alle più nascoste pulsioni della psiche umana, fondandosi su un mondo che, a sua volta, si radica nello studio del passato e non sulla rincorsa alle seduzioni delle mode presenti. Così egli s’inoltra nel mondo dell’arte, nel quale regole e indole personale si contendono una personalissima concezione della forma e del disegno che sembrano superarsi di pittura in pittura e di scultura in scultura. Il suo è e rimane un racconto dell’uomo, dell’individuo irripetibile, al centro di un universo dominato da regole inflessibili quasi come quelle della scultura. Intende l’arte con una naturale urgenza fisica, con un’emozione spontanea che diventa ritratto, paesaggio, natura morta. Le sue immagini, le sue forme, i suoi segni evidenziano dei possibili e impercettibili movimenti, sembrano tutte in attesa di qualcosa, vorrebbero agire, muoversi, procedere, c’è un orizzonte o un destino che li attende: è esso un dramma recondito, maturato nel suo intimo, in quell’inconoscibile e aggrovigliato regno che è dentro ognuno di noi e che non si svela mai totalmente, ma appare attraverso piccole fessure o rapidi tratti, che rendono il mistero ancora più attraente. La tensione sta nella volontà di superare ogni resistenza opprimente a vantaggio di una maggiore tensione vitale, riuscire a liberare l’energia interna, rimettendosi continuamente in gioco, grazie ad una ricerca che tenta di soddisfare sempre nuovi interrogativi. Nelle sue opere, da cui scaturisce non l’espressione di forti stati d’animo bensì sentimenti d’amore, calma e serenità, predominano le superfici curve, ben levigate, in cui la luce non va a scontrarsi con la materia, ma scivola lentamente, senza ostacoli. Così gli effetti di chiaroscuro non danno contrasto, si fondono insieme in un’ampia armonia di toni. Trovare la ‘forma’ che rappresenti il suo intimo profondo e sincero, nella perfetta simbiosi tra l’idea e la rappresentazione, tra l’ispirazione e il risultato finale è il suo fine, teso verso l’assoluto, in una sequenza inesausta di episodi espressivi, a volte compressi, a volte esplosivi nella totalità emotiva ed artistica che ha nella scultura, ma anche nelle altre espressioni, la sua risposta più matura. “Peccato che quella Ninfa non parli, dicea un Inglese, e quell’Ebe non s’alzi nell’aria! […] - è Canova a riferirlo - Io non presumo con le mie opere ingannare alcuno: si sa ch’elle son marmo, che le son mute e immobili: mi basta che si conosca aver vinto in parte la mia materia coll’arte ed avere avvicinato al vero. Se fosse l’opera mia veduta vera, che lode avrei dai miei sforzi? Mi giova anzi che si conosca esser marmo, che la difficoltà mi fa condonare i difetti: non aspiro che ad una illusione”...